La versione di Gabriella Greison, insultata per una scollatura: “Se una donna mostra un po’ di pelle, parte l’allarme sociale”

Nel 2025 può ancora suscitare stupore una donna che parla di scienza indossando un abito scollato. È successo a Gabriella Greison, fisica e narratrice di meccanica quantistica. La polemica è esplosa dopo che, la mattina della cerimonia, Greison ha pubblicato sui suoi canali social un video in cui annunciava con entusiasmo la partenza verso Taormina, dove avrebbe parlato a giovani laureandi e laureande dell’Università degli Studi di Messina come madrina di cerimonia. Indossava un fresco abito verde con profonda scollatura: una scelta estiva e adatta al caldo, ma anche il pretesto per una valanga di critiche online.
Sui social, Greison è stata sommersa da commenti sessisti come: “Una donnetta che ha bisogno di apparire”, “Abbigliamento indecente e poco dignitoso”, “L’età che avanza costringe alcune donne a sparare gli ultimi fuochi d’artificio”, “Volgare e indecente”, “Non è modo di presentarsi”, “Togliti quel vestito scollato”. A far discutere è stato anche il vestito rosso, quello indossato la stessa sera sul palco del Teatro Antico. La rettrice dell’Università degli Studi di Messina ha preso le sue difese, denunciando la polemica come un “attacco sessista mascherato da moralismo” e lodando il suo discorso rivolto ai neolaureati, purtroppo passato in secondo piano.
Qual è stata la prima reazione che ha avuto quando le sono arrivate le prime critiche da parte degli haters? Ha pensato di lasciar correre?
“La prima reazione? Una risata. Amara, ma pur sempre una risata. Perché ormai lo so: appena una donna mostra un po’ di pelle mentre parla di fisica, parte l’allarme sociale. Così non ricorda più un uomo, allora è un problema. Sembrava di stare in un romanzo distopico scritto da Savonarola. E sì, per un istante ho pensato di lasciar correre. Ma poi mi sono ricordata il discorso che avevo appena fatto ai ragazzi sul palco del Teatro Antico di Taormina: "Usate l'ironia se siete in difficoltà davanti a qualcuno", ho detto. E così ho fatto. L'ironia è l’unico linguaggio che disarma, spiazza e fa pensare”.
C’è stato un messaggio o un commento che l’ha colpita di più?
“Non hanno lasciato traccia su di me, sono fatta così. Possono dirtene uno a caso: “Con quel vestito non sono riuscito ad ascoltare una sola parola del tuo discorso.” E io ho pensato: wow, allora ho inventato il primo vestito quantistico della storia. Uno che oscilla tra il visibile e l’inascoltabile, capace di annullare ogni funzione cerebrale superiore. Qui siamo oltre il principio di indeterminazione: se mi guardi, non mi capisci. Se mi capisci, non mi guardi. Geniale, no? Ma a parte gli scherzi, mi colpiscono sempre i messaggi delle ragazze, soprattutto quando mi scrivono: ‘Grazie, perché ora so che posso parlare di fisica senza dovermi travestire da scienziata grigia’. Ecco, quelli non li dimentico. Sono i miei veri premi”.
Le era mai capitato prima?
“Sì, mi era già capitato. Quando ho condotto programmi in tv – uno sulla Rai, uno su Mediaset e uno su Sky – anche lì, tra una spiegazione sull’entanglement e una costante di Planck, qualcuno si chiedeva: “Ma può parlare di fisica con quel rossetto?”. Perché per certa gente, se ti occupi di scienza, devi apparire come appena uscita da un laboratorio nucleare con l’acconciatura compresa nell’esplosione”.
Nelle sue repliche via social a volte ha usato un tono ironico (“Nessuna particella subatomica è stata turbata dalla mia scollatura. Le equazioni stanno tutte bene”) …
“Perché è il mio modo di stare al mondo. Io uso l’ironia come lente per guardare il reale, anche quando il reale è storto. È un modo per restare lucida, per non farmi schiacciare dalla stupidità o dalla cattiveria. E anche per dire: guardate che vi sto vedendo, ma non vi temo. L’ironia smonta i discorsi seri fatti dalle persone sbagliate. È il mio antidoto contro la pesantezza gratuita. E poi… diciamolo: se ti scandalizza più una scollatura che la pochezza di certi commenti, forse il problema non è la scollatura”.
Ha scritto: “Quello che vi ha turbato non è il vestito. È il fatto che una donna possa parlare di fisica quantistica senza ricordare un uomo, e quindi senza chiedere il permesso”…
“Quella frase mi è uscita di getto, come spesso mi succede quando mi colpisce l’assurdità di certi attacchi. Perché diciamolo: se fossi stata un uomo, con la stessa preparazione, lo stesso discorso e vestito da Savonarola, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Il punto non era il vestito. Era il fatto che io fossi lì, su quel palco solenne, con migliaia di persone ad ascoltarmi, e che parlassi di scienza, di libertà, di scelte, senza dover ringraziare nessun mentore maschio, senza dover giustificare la mia presenza con un modo di essere approvato dal patriarcato. Quella frase racchiude tutta la fatica che ancora serve per essere ascoltate per quello che si dice, e non giudicate per come si appare. E se ha colpito molto, forse è perché un po’ tutti l’abbiamo sentita vera. Anche quelli che faticano ad ammetterlo”.
Ha fatto anche un riferimento alle ragazze a cui ha parlato durante la cerimonia di laurea (“secondo voi, com’erano vestite ieri le migliaia di ragazze che si sono laureate? A loro è quindi preclusa la carriera scientifica?”). Per loro spera in un mondo dove non ci sia più bisogno di “chiedere il permesso” per parlare di fisica? Come pensa che sia raggiungibile un mondo simile?
“Sì, per loro – e per tutti i ragazzi e le ragazze che erano lì quella sera – spero in un mondo in cui la competenza non abbia un dress code. Un mondo dove se una ragazza sceglie un vestito bello, colorato, scollato, comodo, o tutto questo insieme, non venga automaticamente letta come "meno seria", "meno autorevole", "meno adatta alla scienza". Spero che arrivi un tempo in cui nessuno debba più domandarsi: “Mi prenderanno sul serio, così come sono?”. Come ci si arriva? Con esempi concreti. Con voci che si alzano. Con persone che non si piegano alle regole non scritte ma ben sorvegliate di certi ambienti. E anche con un po’ di ironia, perché ridere di ciò che è ridicolo è già un modo per cambiarlo. Insomma, più ragazze che salgono su un palco e dicono “so cosa dico”, senza chinare la testa. E più adulti che le ascoltano senza guardare solo l’orlo del vestito”.
Luce